LAGGIU’ SOTTO LA FIORITURA DELLE ZAGARE – racconto

bbbbb– Quando partimmo per la Svizzera, la prima volta, era notte fonda.
Fu un lungo viaggio. Il freddo era buono per curare i porci. Mancavano un paio di settimane a Natale. E noi partivamo come i pastori. Imbacuccati in una sciarpa di lana e in berretto. Chi fumava per i nervi, e chi invece si dannava di peccati per quella partenza a cui ci obbligavano e per un pezzo di pane.
Era bella la Svizzera. Ma non era il paese. C’erano tante case, ma non la nostra. E poi tante famiglie. Ma non erano le nostre.
Prendemmo a lavorare come schiavi. Era duro il lavoro della fabbrica. Peggio che la terra. Ma pagavano. E si poteva mandare i soldi a casa. E far comprare il pane per le moglie e i figli.
Ma non c’è pane abbastanza che sazia certe nostalgie.
– Oi, Fili’, il paese mi manca assai – ripeteva un mio compaesano.
– Pure a me, Giova’ – gli rispondevo.
– Mi manca l’aria . Qua mi pare che non respiro bene. E me lo sogno tutte le notti, il paese. Poi mi sveglio e niente. La Svizzera. Non so se ci resisto io qui… – e poveretto supplicava la Vergine perché quella prigionia finisse presto.
– Dobbiamo farcela, Giova’ – gli dicevo io. – Per le nostre donne. Le nostre case. E un pochino pure per noi – cercando di rincuorarlo.
– Ma perché dobbiamo vivere senza pane, senza soldi e col desiderio della roba d’altri, noi del paese?
– Il paese è un amaro destino, Giovanni mio.()
Quando da casa mi arrivava qualche lettera mi chiudevo nella stanza. Mi ficcavo sotto le coperte e senza che altr’aria vi entrasse cercavo attraverso il foglio di respirare l’aria di casa mia. E la sentivo. E com’era bella. Poi con la luce del lume che filtrava dalle lenzuola, leggevo quelle poche righe e sentivo mia moglie e poi i miei figli, Assunta e Michele. Li vedevo cresciuti però e mi dannavo. E bestemmiavo finanche il benedetto pane, che da una parte saziava il digiuno, dall’altra lo incrementava facendomi perdere di loro la parte migliore. E maledivo la Svizzera, il suo freddo e le sue fabbriche. Mi maledivo io stesso per non essere nato altrove.()
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Quando mastro Filippo mi raccontò la sua storia, Non resistetti a starmene zitto.
– Adesso è diverso, signor Filippo – gli dissi. – Perché non tornate? Noi, laggiù, ci stiamo provando a cambiarla la nostra terra. A far restare la gente. A dare nuova opportunità. E la terra sta al gioco, sapete! Tornate e vedrete come tutto può succedere.
– Il problema, è che adesso sono cambiato anch’io giovanotto. Sono passati troppi anni. Io non riconoscerei la mia terra e la mia terra disconoscerebbe me. Un’altra volta forse.
– Non c’è un’altra volta, signor Filippo.
– Forse hai ragione, ma chi lo sa. Ho chiesto ai miei figli, il giorno che Dio vorrà, di essere sepolto laggiù, sotto la fioritura delle zagare. E se ciò avverrà, allora sì che tornerò. Quel giorno, tornerò davvero.
(giusy staropoli calafati)

LAGGIU’ SOTTO LA FIORITURA DELLE ZAGARE – raccontoultima modifica: 2021-02-08T17:56:45+01:00da giusystar99
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