A FERA I SAN FRANCISCU -02 APRILE-

rrrrrrIl 2 di aprile era un giorno dell’anno che tutti attendevamo con ansia. Mentre in tutta la Calabria si festeggiava il grande Santo di Paola, al mio paese si apriva la fiera di San Francesco.
Noi bambini ci preparavamo già dal giorno prima. I mercatari, prima di sera, venivano per prendere il posto, e l’avvisaglia che ci indicava l’arrivo era il rumore dei ferri che liberavano sfusi sull’asfalto, e con cui costruivano i banchi per esporre le loro merci. Riempivano tutta la strada. E venivano da tutte le parti. Era una festa. La scuola rimaneva aperta ma vuota. Tutti alla fiera. E c’erano le gozze, le pignatte di terracotte, i panari e i cestini impagliati a mano, le sedie a dondolo di vimini. E poi le papere, i galli, gli uccelli e i pesci rossi. Le zappette, i lupini, le uova esposte nella carta del pane, ancora sporche del pollaio. tttttPoco più in là, i vestiti nuovi, le scarpe, i giochi appesi dentro le confezioni che il vento faceva oscillare e che sembravano sempre più impossibili da raggiungere. E poi le caramelle sfuse e gommose, il cocco, i biscotti e i mastaccioli. C’era gente dai paesi vicini ma anche da quelli lontani. La bancarella che più mi piaceva era quella di un vecchio mercataro che veniva da Soriano. Esponeva le sue cose dentro una vecchia cassa di legno, che se solo ci infilavi il naso odorava di miele e di dolce.
– Va ja mastro Micu e accatta i mastazzola – mi comandava mio nonno. E io andavo. Avevano tante forme diverse, quella più bella rappresentava San Francesco sopra un cavallo. Poi c’era l’asinello, il cuore, San Francesco a piedi col saio, i pesci… Al nonno prendevo i pesci. Il santo costava troppo. Il primo lo mangiavo sempre io. E a furia di masticare mi si indurivano le mascelle, ma il gusto era troppo forte. Poi con i miei compagni di classe, andavano al forno da don Gerardo. Mangiare la sua focaccia il giorno della fiera era un rito. Facevamo la fila. Un pezzo ciascuno e poi tutti i piazza al bar di Giuditta. Il gelato alla nocciola non poteva mancare. Ci preparava lei i coni, ed erano sempre abbondanti. All’ora di pranzo, si sentivano di nuovo i rumori dei ferri dei mercatari. La fiera era finita. Ognuno raccoglieva le sue cose. Mastro Micu, chiudeva la cassa di legno, con dentro i mastaccioli rimasti, Don Gerardo, chiudeva la porta del forno, Giuditta il banco dei gelati e chi aveva un parente che portava il nome del santo di Paola, tornava a casa per festeggiare.
Oggi è il due di aprile, è San Francesco e al mio paese c’è la fiera. È tutto cambiato, ma il mio paese e le sue storie, stanno dentro di me come il cuore nel petto. Così chiudo gli occhi e tutto torna com’era.
Ph Tommaso Prostamo

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