Caro ragazzo mio del Sud!

Caro ragazzo mio del Sud…

Ho 39 anni e vivo in uccn piccolo paese, che se continua così, dicono che presto chiuderà. Perché al Sud anche i paesi rischiano di chiudere. Come le tante case già chiuse. Alcune per lutto, altre per viaggi…

Ma finché solo uno di noi rimane, dice mio padre, non accadrà. E così ho deciso di restare e per sempre.

Mio padre è un commerciante. Mia madre gli sta al fianco, manca poco, e saranno cinquant’anni.

Io cosa faccio di preciso non lo so. La ragazza, la moglie la madre, l’amica, la figlia, la sorella…. La certezza è che quando scrivo la mia restanza è più piacevole. Sconfina facilmente e me la gusto.

Abito in un appartamento circa sette metri sopra il mare. Al quarto piano di un palazzo bianco dove la salsedine insiste, ma sul bianco dei muri si confonde. Non si vede. Al naso però oramai la sento al volo. La gratto sopra i vetri, sul bucato che sventola, su di me che non mi sento mai fuori luogo, e sopra i sogni che impazzano. Ho tanti sogni. Non ho cassetti però. E allora sono costretta a realizzarli. Con fatica, sudore, lotta. E poi anche speranza, voglia di farcela per me e per chi come me ancora continua a sognare proprio da quaggiù.

Amo la mia terra con la stessa intensità con cui amo mia madre. Con lo stesso istinto con cui amo i miei figli. Perché, abbiate pazienza, ma sono la medesima cosa. E non dite che ci faccio, perché io ci sono.  Al Sud ci sono. Al mio paese ci sono, resisto, resto. E vivo. Rido, scherzo…, faccio quello che tutti i ragazzi come me fanno in tutto il mondo.

E c’è la scuola e c’è la chiesa. E nelle campagne, che se ne stanno accoccolate con i piedi sulla sabbia del mare e la faccia alla montagna, ci sono tanti forni per il pane. Tutti di pietra. E poi c’è la mia meravigliosa infanzia che conservo in ogni angolo di strada, nella fontane, e nello sguardo degli ultimi anziani.

Quaggiù a volte rido e altre piango. Ma poi mi accorgo che non tutto è perduto. Che le volte che piango accade perchè qualcun altro rida dopo.  È dura lo so. Eccome se lo so. Ma siamo figli della resistenza noi.

E tu, sai resistere, tu?

Sono arrabbiata e delusa. Sono una madre profondamente arrabbiata e delusa.  Perché comprendo ogni giorno che passa, che tu non hai pace, e non hai luogo. Sono arrabbiata e delusa, perché quattordici, diciassette e vent’anni li ho avuti anch’io. E la voglia di fuggire con così tanta asprezza, desiderio di rottura con l’origine di cui facciamo parte, e rancore, non mi è mai saltata addosso. Tu invece, nasci dal grembo del mio stesso Sud, e hai sin dal primo istante,  già in corpo, il desiderio incommensurabile del viaggio verso il Nord.

Cosa metti, ti prometti o ti promettono, in questi  viaggi che quasi sempre, e tristemente, sono di sola andata?

Qualsiasi cosa possa essere, fidati, è davvero sempre troppo poco. Perché il vero insuccesso di questo tanto rincorso viaggio della riscossa, a cui sembri costretto o obbligato, è il coraggio di lottare che ti manca. Di ridarti una possibilità se proprio pensi che  altri te l’abbiano tolta. Essere libero. Essere te stesso, senza doverti per forza, costruire falsi connotati altrove, per essere ben apprezzato dal mondo. Perché tu sei nel mondo. Tu sei del mondo. Noi siamo il Sud del mondo. Non un non Nord. Siamo il Sud, capisci?. Ci siamo, esistiamo così come siamo e basta.

A vent’anni, caro ragazzo mio del Sud, a vent’anni dico, non posso sentirti dire che non ce la fai più. Che sei sfinito, scoraggiato. Ricorda sempre che il lavoro, la dignità dell’essere umano, sono un riflesso precise dei nostri passi, delle nostre scelte, o di quelle che abbiamo lasciato fare a chi ci ha preceduto, e alle quali non ci siamo mai ribellati. Ho sentito giovani pari a te, dire  che il lavapiatti in città, al Nord, è più dignitoso che al paese, al Sud. E perché?  Perché nella città si fa il culo, lavora sodo sennò gli sputano in un occhio,  e non saprebbe come pagarsi casa, come resistere agli urti di circostanza. Quaggiù invece un piatto sì e cento no, e vive in vacanza sempre, e sta nella casa fatta da papà con l’orto pure. E no, no santo Dio! Pretendi che il sistema cambi. Cambialo, tu. Impegnati. Indignati. Difendi la tua dignità. Pretendi un’opportunità. Parla la tua lingua. Racconta chi sei.  Chi sei stato.  E senza vergogna anche chi non vorresti mai essere. A chi con fierezza non appartieni. Non costruirti la mappa di un’identità che non ti appartiene.  Non errare. Scegli piuttosto il sistema in cui vuoi continuare a crescere. Quello in cui puoi restare senza nessun beneficio al dubbio che dirotta verso l’erranza. Tu sei uno e sei tanti. Il rischio è che il tuo viaggio diventi epocale, e che la specie dalla quale provieni si estingua. E a me non piace. Fermati ancora un po’. Chiamala disgraziata, offendila la tua terra, ma provate a guarire insieme. TANTO DUVI VAI VAI U MARI È ACQUA. E se altri la oltraggiano falle da scuso. Fa che nessuno mai le possa torcere un capello. Schierati. E ora che tu lo faccia. Con consapevolezza. E se proprio devo dirtelo, con orgoglio. Dì a tutti: MIA MADRE NON SI TOCCA.

Io lo so che il viaggio, per cui tanto sospiri, non è colpa tua. Ti hanno insegnato che solo partendo ti riscatterai. E tu ci hai creduto.  Ecco tutto. E adesso il viaggio ti serve come il pane. E allora, se proprio hai fame di vedere com’è fatto il mondo, figlio mio, io ti dico: VA. Va dove hai voglia di andare. Impara, apprendi, cogli il meglio che puoi, ma poi, se puoi torna. Metti in pratica ciò che hai imparato. Il coraggio per primo. Solo così da morto che sei dentro, fidati, riprenderai a vivere.

Intanto, sappi che io resto qui. Ad aspettarti. Anche quando un giorno deciderai di ritornare solo con il cuore.

Una ragazza(madre) del Sud che è rimasta  perché ha radici più forti delle ali.

GSC

 

Caro ragazzo mio del Sud!ultima modifica: 2018-02-14T19:28:24+01:00da giusystar99
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