Arrivammo a Brancaleone che era pieno giorno. Un caldo che non dava scampo. Una piriainsopportabile. Sudavano persino le pale dei pittindianidisposti lungo i sentieri che perimetravano il paese. E portava affanno, quella bestiale calura.
Niente voci di bambini. Niente grida. Solo cicale, votate a un assordante frinire.
Un bar. A cerimoniare, alcuni maschi del loco. Te sette e scopa. Sull’insegna un gran nome: Roma.
– Che fessi!– dissi a mia zia, abbondando in sorrisi come forse le sciocche solevano fare.
– Danno a un bar un nome come Roma, e Brancaleone non è altro che uno dei paesi messi in culo alla luna. – (gsc)
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IL RACCONTO. Pavese e l’amore segreto di Brancaleoneultima modifica: 2016-01-25T19:00:09+01:00da
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